(CAVALIERI MARVEL)

 

N° 41

 

LA RADICE DI TUTTI I MALI

 

(PARTE TERZA)

 

 

LA FONTE DI OGNI MALVAGITÀ

 

Di Carlo Monni

 

 

1.

 

 

            Non ha bisogno di vederli per sentirne la presenza: sa che ci sono. Ha vissuto con loro, è stata una di loro, la migliore a quanto dicono. Ora sa che stanno arrivando e che il loro compito è ucciderla: lei è Elektra Niatchos  e loro sono La Mano, la letale setta segreta di killer ninja il cui nome in Giappone e nel resto dell’Estremo Oriente è pronunciato con terrore. Da tutti, forse, ma non da Elektra, perché lei è forse l’unica di cui siano loro ad avere paura.

 

            La morte non è sconosciuta a questi uomini: è il loro lavoro, la vedono quasi tutti i giorni ed hanno imparato a conoscerla e se non la amano, almeno la rispettano. Sono poliziotti, detectives per la precisione, e la morte su cui oggi indagano è quella di un’appartenente alla loro comunità. Nessuno di loro conosceva Cassie Lathrop e nessuno di loro la conoscerà mai, anche se parteciperà al suo funerale e dirà parole di circostanza ai familiari o, forse, se ne starà in disparte perché non avrà nulla da dire e penserà a quando arriverà il suo turno.

            L’Agente Speciale Cassandra Agnes Lathrop dell’A.T.F.[1] è morta perché conosceva Luke Cage. Al Killer non importava affatto che fosse un agente federale, gli interessava l’effetto che quella morte avrebbe avuto su Cage, un messaggio molto chiaro: posso ucciderti quando voglio e nessuno che ti conosca è al sicuro. Ma stavolta l’ignoto killer ha fatto il passo più lungo della gamba, perché ora Cage non è il solo a volerlo inchiodare: non si uccide impunemente un poliziotto, queste sono le regole ed il Capitano Rafael Scarfe del Distretto di Polizia di Midtown Nord a Manhattan le conosce e le condivide, proprio come il suo collega del F.B.I. Phil Corrigan.

-Allora, Eliot, che ci dici?- chiede Corrigan.

            Il luogo è il Federal Plaza, nel laboratorio scientifico del F.B.I. e l’uomo che risponde alla domanda si chiama Eliot Richardson, Tecnico balistico.

-La pallottola è indubbiamente una 7,62x15mm NATO.- dice –Questo tipo di cartuccia, come dice il suo nome è in uso alle forze armate NATO. Ne esiste anche una versione civile per fucili da caccia, la Winchester 308, ma…-

-… ma tu stai per dirci che non è un fucile da caccia quello che ha sparato, giusto?-

-Esatto. La cartuccia che ho estratto dal cranio dell’Agente Speciale Lathrop è del tipo che si usa prevalentemente per l’M40A3, un tipo di fucile assemblato esclusivamente dall’armeria dei Marines a Quantico per un solo ed unico scopo.-

-È un fucile da cecchini.- conclude  Corrigan.

-Ed uno dei migliori, anche.- conferma Richardson -Munito di mirino telescopico ed in mano ad un tiratore in gamba, è in grado di colpire un bersaglio a 1000 yarde[2] di distanza.-

-Questo vuol dire…-interviene il Capitano Scarfe -… che il killer è un tiratore scelto, probabilmente con esperienza militare e che lui o chi gli dà gli ordini hanno accesso alle attrezzature militari e dei Marines in particolare?-

-Direi che la sua analisi è corretta, Capitano.- gli risponde Richardson.

-Ti fa venire in mente qualcuno?- gli chiede Corrigan, vedendo l’espressione sul volto di Scarfe.

-In effetti, si.- risponde l’altro –C’è un vecchio nemico di Cage che risponde a questi requisiti, ma credevo che fosse morto.-

-Possiamo controllare subito.-

-E che stiamo aspettando?-,

 

Marlene Alraune è preoccupata. Non è la prima volta che si ritrova ad essere prigioniera di Raoul Bushman, ma quello che stavolta c’è di diverso è che deve preoccuparsi delle condizioni del suo vecchio amico Jean Paul Duchamp, detto Frenchie, che è rimasto ferito alla testa per colpa del licantropo Jack Russell.[3] Lo stress del viaggio fino in Africa potrebbe aver aggravato le sue condizioni, ma questo non ha importanza per quello psicopatico di Bushman: a lui importa solo di riuscire a riconquistare il potere nel natio Burunda e quando ci sarà riuscito è chiaro che li ucciderà tutti… a parte Marlene, probabilmente. A lei, in quanto donna, sarà concesso di vivere più a lungo, almeno finché Bushman ed i suoi non si stancheranno di abusare di lei. Bisogna trovare il sistema di tirarsene fuori prima che sia troppo tardi. Marlene non intende aspettare che sia il suo uomo, Marc Spector, Moon Knight, a trovare una soluzione, non è nel suo stile fare la parte della damigella in pericolo, ma cosa può fare?

            Un lamento attira la sua attenzione: Frenchie si sta risvegliando. Nonostante la difficile situazione, la giovane donna non può evitare un sospiro di sollievo.

 

 

2.

 

 

           

            Entrano infrangendo la finestra. Sono almeno una dozzina di Killer della Mano. Elektra sogghigna. La valutano così poco da mandarle contro solo 12 assassini? La battaglia comincia ed i movimenti dei contendenti sono qualcosa d’incredibile per chiunque ne potesse essere spettatore. In quella che sembra essere la coreografia di una danza di morte, troppo complessa, troppo viva per poter essere descritta da semplici parole, Elektra ed i suoi avversari si confrontano. Eccone cadere uno, poi un altro ed un altro ancora. Elektra è un assassino metodico, i suoi movimenti sono fluidi ed aggraziati come quelli di una ballerina classica. Ecco: ora salta evitando un fendente che l’avrebbe tagliata in due, poi con un calcio della tigre spezza il collo di un avversario, mentre il sai che impugna nella mano destra, affonda nel petto di un altro e quello che ha nella mano sinistra è lanciato a colpirne un terzo. Ora è disarmata, ma, rapida, corre verso la katana abbandonata da un ninja morto e l’afferra, poi compie una giravolta e l’affonda sino all’elsa nel ventre dell’ultimo avversario rimasto. È ancora vivo, ma ne ha per poco, Elektra lo afferra per il bavero e domanda con voce dura:

-Dov’è Nina McCabe?-

            Non ottiene risposta, mentre il Ninja si dissolve in fumo, ma dalla sua tunica spunta un biglietto e lei lo legge, sono poche parole:

“Là dove nascesti nel sangue!”

            Elektra comprende e mentre getta via il biglietto, che subito diventa cenere, come i suoi aspiranti assassini, sente il rumore delle sirene della Polizia che sta arrivando, probabilmente chiamata dal personale o da qualche altro cliente dell’hotel. Non ha il tempo di fermarsi a dare spiegazioni, deve salvare Nina. Senza perdere tempo a pensare a cosa sta facendo, recupera le sue armi e si lancia fuori dalla finestra della sua camera, nel vuoto sottostante.

 

            Lo chiamano Paladin ed il suo lavoro non ha esattamente una definizione precisa. Qualcuno lo definirebbe un mercenario, ma lui contesterebbe, almeno in parte, questa definizione: un mercenario lavora per il maggior offerente senza riguardo per i suoi motivi, Paladin può trovarsi spesso a camminare sull’invisibile confine tra il lecito e l’illecito ed avere un concetto personale di giustizia, ma ci sono confini che la sua morale, perché, per quanto c’è chi lo troverebbe difficile da credere, ne ha una, gli vieta di attraversare. Non è infallibile, però, ed è proprio questo a metterlo nei guai, tipo: correre a perdifiato lungo un giardino, inseguito da ferocissimi Dobermann, mentre si chiede come ha fatto a farsi sorprendere come uno stupido.

            Doveva essere una facilissima missione di ricognizione ed entrare nel sorvegliatissimo complesso non era stato difficile, infatti, ma quando, alla fine, era riuscito a decifrare il codice d’accesso ai file segreti del sistema informatico del luogo ed aveva cominciato il download, aveva udito quella voce:

<<Davvero un bel lavoro, Mr. Paladin. Ora lei comprenderà che non può uscire da qui con la conoscenza che ha acquisito, vero?>>

            Ecco, quello era stato l’inizio dei guai. Riuscire a superare le trappole mortali che gli avevano scatenato contro era stato un giochetto da ragazzi per uno con le sue abilità; uscire all’aperto era stato relativamente facile, ma ora doveva abbandonare il luogo e vedersela con una torma di ferocissimi cani. È strano come gente addestrata ad uccidere esseri umani senza pensarci due volte si possa far prendere dagli scrupoli all’idea di uccidere un animale. Forse è la consapevolezza che in essi manca la malizia tipica dell’uomo, la volontà di fare del male per il gusto di farlo.

            Paladin si rassegna all’idea. Si ferma e sul suo costume corazzato scattano le protezioni che lo isolano dal mondo circostante. Proprio in tempo, perché i primi due cani gli saltano addosso ed il loro slancio lo fa finire nell’erba. Le zanne del Dobermann non gli fanno male ovviamente, vista la protezione sul braccio, ma la cosa non è piacevole lo stesso. Con la mano libera Paladin preme un bottone sul suo casco ed attiva un dispositivo ad ultrasuoni, un dispositivo che agli esseri umani, incapaci di udirlo, causa al massimo un po’ di mal di testa e vertigini, ma sui cani ha un effetto dirompente. Ululando cadono al suolo, si agitano ed infine svengono.

Mi dispiace, ragazzi, pensa, paladin, ma sono allergico al sangue, specie se è il mio.

-Complimenti Paladin.- la voce gli giunge ovattata attraverso il casco e lui ne capisce a malapena le parole. Davanti a lui ci sono due uomini, in tuta nera e con il volto coperto da un cappuccio pure nero. Dovevano essere con i cani, pensa Paladin, e lui è ancora troppo sbalestrato per reagire.

-Questa pistola…-- continua l’individuo -… spara proiettili speciali, capaci di bucare la tua corazza. Addio, ficcanaso.-

            Paladin vede la canna della pistola fin troppo vicina al suo petto ed intuisce, più che vedere, il dito contrarsi sul grilletto, poi sente un rumore ovattato e vede l’uomo fare una faccia stupita, mentre le ginocchia gli cedono e cade riverso sull’erba. Sulla nuca un piccolo foro da cui fuoriesce sangue.

            A sparare è stato l’altro uomo, che ora si toglie il cappuccio, rivelando un volto familiare a Paladin.

-Tu… tu sei Rick Mason!- esclama il super mercenario alzandosi da terra.

-Già.- replica il figlio del famoso Riparatore –E tu mi hai appena costretto a gettare al vento la mia copertura. Spero almeno che ne sia valsa la pena.-

-Non mi dirai che anche tu sei qui per il mio stesso motivo?-

-Tu non farmi domande ed io non ti darò risposte.- è la sibillina risposta dell’altro –Ora sbrighiamoci a filarcela prima che arrivi altra gente.-

            Basta che Mason prema due volte un pulsantino nell’orologio da polso, che quasi dal nulla, ecco calare due cavi.

-Vieni.- dice Mason a Paladin, mentre si lega un cavo intorno alla vita.

            Paladin lo imita, poi, ad un altro segnale, i due sono risucchiati verso l’alto.

-Una delle solite diavolerie di tuo padre?- chiede Paladin.

            Rick Mason si limita a non rispondere.

 

            Elektra ha attraversato il giardino sino alla piccola baia retrostante la villa e lì ecco lo Yacht di suo padre, il luogo in cui lei è nata e sua madre è morta, il luogo ove, forse, il suo destino è stato forgiato per sempre. Con molta cautela Elektra sale a bordo, tutti i suoi sensi all’erta per scoprire qualsiasi segno della presenza dei suoi nemici. Niente, a parte il lieve rollio dell’imbarcazione e… un gemito, debole, ma costante che viene dall’interno.

            Elektra entra e quel che vede è sufficiente a bloccarle il respiro:  Nina McCabe, nuda, è appesa ad una corda che la tiene sollevata da terra di pochi centimetri.

            Elektra reprime a fatica l’impulso di correre da lei e solo dopo essersi assicurata che non ci siano trappole nascoste, la scioglie e la stringe tra le braccia.

-Elektra…sei davvero tu… finalmente…- mormora a fatica la ragazza -… io ho… sempre saputo che…-

-Shhh.- sussurra Elektra –Andrà tutto bene, adesso, me ne occuperò io.-

-Ne sei davvero sicura Elektra?- La voce è dura e sarcastica e mentre si volta lei sa benissimo a chi appartiene.

Alle sue spalle, come spuntato dal nulla, c’è Tekagi e con lui tutti i Serpentieri, pronti alla battaglia.

-Sei pronta a morire piccola Kunoichi?-

-Ti ho già detto che odio quella parola.- replica, sprezzante, Elektra balzando in piedi.

 

 

3.

 

 

            Dovrebbero essere morti tutti, Elektra lo sa bene, dopotutto stata proprio lei ad ucciderne la maggior parte… alcuni di loro persino due volte. Ma del resto, lei stessa non è morta ed è stata fatta risorgere dai mistici mezzi della Mano? Non può escludere che sia avvenuto per la terza volta... o forse sono dei successori, nuovi uomini e donne in vecchi costumi.

-So cosa stai pensando Elektra.- risponde Tekagi alla sua domanda inespressa –Siamo gli originali o semplicemente delle copie? Ed in questo secondo caso, quanto siamo bravi? Puoi facilmente scoprirlo, devi solo sconfiggerci.-

-Da sola contro otto di voi. È questa la tua idea di uno scontro leale, Tekagi… o chiunque tu sia?-

-Non credo che la cosa possa davvero spaventarti, Elektra. Non eri, forse, la migliore tra gli adepti della Mano, la più abile, la più spietata degli assassini? Ma voglio essere generoso con te… ti darò l’opportunità di affrontarci uno alla volta. Prendi la tua giovane amica e portala alla villa. Nessuno ti toccherà sino allora, poi, una volta che l’avrai messa al sicuro in una delle stanze, comincerà la caccia: il primo di noi ti assalirà quando meno te l’aspetti e se sopravvivrai allo scontro, dovrai affrontare il seguente. Io sarò l’ultimo, pronto a liberarti dagli affanni terreni una volta per tutte.-

-Sembri certo che arriverò viva alla fine e che tu vincerai lo scontro finale.-

-Chi può dire cosa il Destino abbia in serbo per noi, Elektra? Il filo delle nostre vite è già stato intrecciato molto tempo fa e solo le Parche sanno quando sarà spezzato.-

            Un bel riferimento alla mitologia greca, adeguato al luogo, ma strano per un giapponese.

-Che ne sarà di Nina, se dovessi cadere?- chiede Elektra.

 -La tua amica non è come noi, non ancora. La sua innocenza sarà preservata, se è questo che vuoi: hai la mia parola che al termine dello scontro, se tu dovessi cadere, lei lascerà la Grecia sana e salva. Nessuno le torcerà un capello se io potrò impedirlo.-

-Già un altro mi ha detto quasi le stesse parole.-

-Dovresti dar loro ascolto, allora. A più tardi Elektra.-

            Scompaiono come se non fossero mai stati lì, come i fantasmi che forse sono davvero, fantasmi del suo passato segnato dall’intrigo e dalla violenza.

 

            Se deve prendere una decisione, il momento si avvicina e Moon Knight lo sa. Non sono molto distanti dalla capitale ormai C’è stato uno scontro che gli uomini di Bushman hanno vinto ed ora il crudele ex generale si rivolge al suo vecchio nemico:

-Che ne dici, amico mio? Gli riserviamo il solito trattamento?-

            Marc Spector rabbrividisce: sa cosa sottintendono le parole di Bushman, troppe volte ha visto all’opera la sua crudeltà.

            I soldati nemici vengono allineati sul ciglio della strada e viene ordinato loro di mettersi in ginocchio, poi Bushman stesso si pone dietro il primo della fila, punta la pistola alla sua nuca e spara, un colpo solo, non ne servono altri  è un segnale per i suoi uomini. Moon Knight sente lo scatto secco degli otturatori dei fucili, poi le armi vengono sollevate e puntate.

-NOO!!-

            L’urlo sale dalla gola di Moon Knight prima che lui stesso se ne renda conto, poi l’eroe balza in avanti, incurante di ogni conseguenza.

 

            Elektra raggiunge la villa che fu di suo padre tenendo in braccio Nina, come se non pesasse nulla. La ragazza non ha ferite apparenti, è solo molto debole. A quanto sembra, né i Serpentieri, né la Mano l’hanno torturata o le hanno fatto altro, a parte che tenerla segregata e poi legarla in quel modo all’interno dello Yacht appartenuto a Hugo Niatchos. Elektra sa che sarebbe meglio portarla in un ospedale, ma sa anche che se provassero a lasciare la proprietà i Serpentieri la assalirebbero e non lascerebbero loro scampo. Elektra, forse, potrebbe sopravvivere, ma Nina non avrebbe possibilità. No, meglio giocare secondo le regole stabilite da Tekagi e sperare che qualunque cosa accada, lui mantenga la parola data. È un azzardo, Elektra lo sa bene, ma ritiene di non avere scelta.

Delicatamente, con una dolcezza insolita per una come lei, deposita Nina sul letto di quella che una volta era stata la sua camera e la copre bene.

-Aspettami qui.- le dice, baciandola sulla fronte –Tornerò presto.-

            O almeno è quello che spera. Esce dalla stanza e si chiude la porta alle spalle. I suoi sensi sono tutti all’erta, in attesa della prima mossa dei suoi nemici… e quella mossa arriva, quando colui che si fa chiamare Genkotsu le piomba addosso dall’alto, armato di una pesante ascia.

            Elektra evita il primo fendente con un’agile capriola, poi salta ancora, evitando il secondo colpo del suo avversario. È abile, pensa Elektra, parando un terzo colpo con i suoi sai, molto abile davvero. Nessuna parola passa tra i due contendenti, nessuna inutile vanteria o motto di spirito, come avviene spesso nelle battaglie tra supereroi e supercriminali. Questi due sono guerrieri professionisti e non perdono tempo.

Elektra salta, allontanandosi da Genkotsu. Si sfila la bandana e ne fa una fascia che srotola contro il suo avversario afferrandogli il polso. Genkotsu è sbilanciato e si ritrova proiettato contro Elektra ed il sai che la ninja impugna nella mano destra. È un attimo, il Serpentiere prova a cambiare angolazione ed usare la sua ascia, ma non è abbastanza svelto, il sai gli penetra nel collo attraversandolo da parte a parte; la sua carotide è tranciata in più punti, il sangue scorre copioso ed Elektra ne sente il penetrante odore, mentre il suo avversario le cade ai piedi

Meno uno, pensa.

 

 

4.

 

 

            L’aereo proveniente dall’Aeroporto McCarran di Las Vegas si prepara ad effettuare la procedura di atterraggio al J.F.K. di New York.  Ivan Ivanovitch Petrovitch esce dalla toilette e percorre il lungo corridoio dalle ampie vetrate. Da dove si trova ha una vista panoramica verso la pista d’atterraggio e si lascia sfuggire un sorrisetto sotto i folti baffi che stanno diventando sempre più bianchi. Ancora pochi minuti e potrà riabbracciare la sua pupilla: Natalia Alianovna Romanova, nota anche come Natasha Romanov e, meglio ancora, come Vedova Nera. È contento che lei stia finalmente tornando  casa. Ad essere onesti, avrebbe preferito di gran lunga saperla impegnata in una missione mortale, piuttosto che a casa di Harold Howard a Las Vegas. Di certo Natasha è più preparata ad affrontare pericoli mortali, che i conflitti emozionali che quella visita ha sicuramente sollevato. Per quasi 15 anni Natasha è riuscita ad ignorare l’esistenza del ragazzo, ma non poteva durare, era solo questione di tempo ed ora…. Ma forse è stato meglio così. Tutti loro sapevano che certi segreti sarebbero venuti a galla, prima o poi, il problema è: chi ne pagherà il prezzo?

            Le riflessioni di Ivan s’interrompono di colpo. Forse è una specie di sesto senso che l’ha avvertito, ma ora si accorge  che proprio accanto alla porta della sala d’aspetto per i visitatori c’è un uomo armato. Ivan si appiattisce dietro un angolo. Forse, se è stato fortunato, l’uomo non ha fatto in tempo a vederlo. Il vecchio russo non perde tempo a chiedersi come abbia fatto un uomo armato ad introdursi nel terminal, il suo cervello allenato si chiede, invece, da quanto tempo è lì, quanti altri come lui ci sono in giro e che scopo abbiano: ricatto o puro e semplice terrorismo? In ogni caso, che cosa può farci lui?

 

            Moon Knight balza sui soldati di Bushman, abbattendo i primi due e facendo cadere dalle loro mani i fucili. Rotola lontano e si rimette in piedi, ringraziando lo stupido orgoglio di Bushman che lo ha voluto in piena efficienza e gli ha lasciato i suoi dardi a mezzaluna, lanciando un paio dei quali, disarma altri soldati.

            In piedi sulla camionetta scoperta dove s trovano anche Frenchie e Marlene, Bushman gli grida:

-Mi deludi, Spector, ti avevo avvertito di cosa sarebbe successo se tu mi avessi sfidato: uccidete il francese!-

            Gli occhi di Bushman cerchiati dal suo tatuaggio a forma di teschio, sembrano brillare nel buio di un lampo di gioia selvaggia mentre dà l’ordine.

 

            Elektra si muove circospetta lungo i corridoi della villa di famiglia. Ha affrontato e sconfitto il primo avversario, ma chi può dire da dove arriverà il secondo? Ha appena formulato questo pensiero, che una vetrata va in frantumi ed ecco apparire il secondo avversario:  la donna chiamata Osaku. Un’eccellente combattente sia a mani nude, che con le tipiche armi della tradizione orientale. Elektra incassa un paio di colpi, vibrati sia con i piedi, che con il taglio della mano. Si asciuga sorridendo un rivolo di sangue che le cola da un labbro e passa all’attacco. Evita il nunchaku che la donna tiene in mano, fa un’audace capriola e passa sopra la testa della sua avversaria, riuscendo a strapparle il nunchaku di mano, per poi passarlo attorno al suo collo, quindi comincia a tirare, mentre, contemporaneamente, fa forza col ginocchio destro contro la schiena dell’avversaria. Osaku lotta per sottrarsi alla micidiale stretta, ma senza successo. Alla fine la sua resistenza cessa e la donna, chiunque sia, cade riversa sul pavimento.

            Meno due.

 

 

5.

 

 

            Quale sarà il suo prossimo avversario? Elektra attende, cercando di individuare il punto da cui arriverà il prossimo attacco e cercando di indovinare chi sarà il prossimo assalitore. L’attesa termina quando una freccia sibila accanto alla sua testa, il segno distintivo di Enteki, l’Arciere. Questo era solo un avvertimento, la prossima freccia sarà mirata ad uccidere. Un altro al posto di Elektra non avrebbe nemmeno percepito il leggero sibilo che accompagna la seconda freccia, ma Elektra riesce a pararla facilmente con i suoi sai. Ora guarda oltre la vetrata da cui è entrata Osaku e lo vede, nel giardino sottostante, si prepara a lanciare. È una questione di secondi. Elektra lancia il sai che tiene nella mano destra forse solo un istante prima che Enteki scocchi un’altra freccia. Il sai raggiunge Enteki colpendolo alla gola mentre la freccia parte, il dardo manca di poco il bersaglio. Un altro nemico eliminato, ma Elektra ha sacrificato una delle sue armi.

Uno shuriken sibila accanto alla sua guancia destra e si conficca su una parete. Elektra si passa una mano sulla guancia e la ritrae sporca di sangue. Una ferita leggera, ci penserà dopo. Un altro shuriken le passa accanto e la colpisce alla caviglia. Il suo nuovo nemico vuol giocare con lei. Elektra afferra lo shuriken e dice la sua prima parola da parecchio tempo:

-Esci!-

            Ed il suo avversario le dà retta. Dalle ombre esce Doka, che la guarda senza proferire parola. Elektra gli rilancia lo shuriken, che lui afferra a mezz’aria senza apparente sforzo. Come sempre lo scontro si svolge in silenzio. Doka è abile non solo con gli shuriken, ma anche in altre forme di combattimento, comprese quelle a mani nude. Elektra deve ammettere che è in gamba, ma anche troppo fiducioso in se stesso. Si è fatto portare dove Elektra voleva ed all’improvviso si ritrova la carotide attraversata dalla freccia di Enteki, che poco prima si era piantata su una parete.

            Un altro avversario sconfitto. Ne rimangono tre prima di arrivare a Tekagi.

 

            È un uomo massiccio, la definizione di armadio gli sta a pennello. Il suo nome è John Garrett e la maggior parte de suo fisico dal collo in giù, nascosto dall’impeccabile completo nero, non ha più nulla di umano. John Garrett è quello che si definisce comunemente un cyborg, una sintesi d’uomo e macchina, per la verità più macchina che uomo, ormai, ma se l’umanità non si misura dalla quantità di carne e sangue di cui è composto un essere vivente, allora molti concluderebbero che… John Garrett era una macchina già da molto prima che il primo organo artificiale gli venisse installato.

            Al contrario, la bella donna seduta davanti a lui è decisamente un perfetto esemplare di essere umano di sesso femminile e Garrett non fa mistero dei suoi sguardi alle lunghe gambe che spuntano da una gonna nera che termina appena sopra il ginocchio, od alla scollatura della camicetta color lavanda.

-Allora, ragazza mia, non perdiamo tempo e fammi parlare col grand’uomo in persona.- le si rivolge Garrett, accendendosi una sigaretta.

-Come le ho già detto altre due volte, Mr. Garrett...- replica, con voce tranquilla, la donna –... Mr. Howard la riceverà quando sarà il momento e non prima. E spenga quella sigaretta. A parte il fatto che è un’abitudine fastidiosa e dannosa alla salute di chi fuma e di chi sta con lui, in questi uffici è severamente vietato fumare, non ha letto i cartelli?-

-Non rinuncerò ad uno dei pochi piaceri da uomo che mi è rimasto, pupa.- replica Garrett tirando un’altra boccata ed indirizzando il fumo su di lei. –Come penseresti di farmela spegnere?-

-Così.- risponde seccamente la donna conosciuta dai più solo come Miss Wright, stringendo con la sinistra una specie di mini telecomando.

            Subito Garrett s’immobilizza di colpo.

-Ma cosa?-

-Possediamo noi il brevetto di tutte le parti bioniche e meccaniche nel suo corpo, Mr. Garrett.- spiega Miss Wright togliendogli dalle dita la sigaretta e schiacciandola in un vicino portacenere -Questo aggeggio è in grado di controllare tutte le sue funzioni … a parte le sue sopravvalutate corde vocali, che sono ancora quelle originali. Non abbia paura, però siamo solo in due a possedere questo telecomando: io e Mr. Howard.-

-Brutta p…-

-Niente parolacce Mr. Garrett, non si dimostri volgare, per carità o potrei decidere di lasciarla così fino domani o…-

<<Miss Wright…>> da un interfono ecco la voce del misterioso Harold Howard -<<… faccia entrare Mr. Garrett, per favore.

-Sigh. Certo signore… può andare Mr. Garrett, dritto davanti a lei.-

            Garrett si ritrova a camminare sino ad oltrepassare la porta che si è aperta davanti a lui ed è solo quando questa si è richiusa alle sue spalle, che riacquista pienamente il controllo dei suoi movimenti.

            Dannata sgualdrina, pensa tra se, ma lascia che ti ritrovi senza il tuo aggeggino in mano e…

            La voce del cosiddetto miliardario fantasma lo costringe a lasciar perdere i suoi pensieri.

-Ho un altro incarico adatto ai suoi talenti, Mr. Garrett .- dice Harold Howard.

-Un altro governo da far cadere? O qualche assassinio politico?- chiede Garrett con un sogghigno.

            Se il volto di Harold Howard potesse essere visto, il suo interlocutore vi vedrebbe disegnarsi un sorriso.

-Qualcosa di simile… ma anche di diverso.- risponde in modo sibillino.

 

            Il nuovo attacco arriva alle sue spalle nella forma dello spadaccino Budo. Un tempo sotto quella maschera c’era il rinnegato generale dei Marines Harry Kenkoy, ma come ha già fatto in precedenza, Elektra non perde tempo ad interrogarsi se questo sia l’originale resuscitato od un rimpiazzo, ciò che importa è solo che alla fine del duello uno di loro due giacerà nella polvere del pavimento immerso nel proprio sangue.

            Come sempre, il duello si svolge nel più assoluto silenzio, a parte le grida di battaglia che i due contendenti lanciano a turno. I due avversari si scrutano, poi Budo passa all’attacco, con la katana sguainata. Il suo fendente va a vuoto. Elektra dapprima si preoccupa di evitare i colpi dell’avversario, sperando di arrivargli a tiro con l’unico sai rimastole. Si china, cercando un punto scoperto nella guardia di Budo, ma non è abbastanza svelta stavolta. La lama la coglie di striscio al braccio sinistro.

-Il primo sangue è mio, traditrice.- sono le prime parole di Budo.

-Ma l’ultimo sarà mio.- proclama Elektra.

            La ninja si tuffa in avanti ed evita un nuovo colpo di spada, poi rotola alle spalle di Budo e con una rapida mossa riesce a sfilargli l’altra katana dal fodero. Budo si  gira di scatto, ma già la lama di Elektra gli è penetrata sino allo sterno, per poi uscire dall’altra parte. Il duello è finito. Elektra ritira la lama ed osserva il cadavere del nemico. Ha sconfitto cinque avversari, ne rimangono due.

 

 

6.

 

 

            Il nuovo avversario è Feruze, l’artista dei bo, le micidiali aste,  che rotea con perizia, colpendo Elektra prima alla caviglia ferita, poi ad un ginocchio, quindi mette a segno un terzo colpo al collo della sua avversaria.

            Sono stanca, pensa Elektra in ginocchio, perdo sangue da almeno tre ferite, anche se sono superficiali, i miei riflessi si stanno appannando. Se non reagisco adesso sono finita.

            Prima che un quarto colpo sia vibrato, Elektra ha afferrato il polso del suo avversario e, con un’appropriata torsione, riesce a fargli perdere l’equilibrio, poi si rimette in piedi. Feruze usa il suo bo per parare un assalto del sai di Elektra, ma lei usa la katana presa a Budo e colpisce strappando di mano il bo a Feruze. Quello non si perde d’animo si getta verso il bo, evitando un colpo di Elektra, ma si scopre un fianco ed è quanto basta ad Elektra: il suo sai trova la via per le viscere del suo avversario che è spacciato.

           

            Il soldato alza il suo fucile, ma l’ultima cosa che si aspetta è che Marlene reagisca e lo colpisca con un improvviso calcio. La ragazza non è certo all’altezza dei suoi due amici, ma negli anni ha imparato qualcosa sull’autodifesa e le basta questo per approfittare dell’attimo di smarrimento dei soldati, alzarsi di scatto e correre ad impadronirsi del fucile lasciato cadere dal soldato da lei colpito, poi, senza perdere tempo, mette l’arma in posizione di sparo e la punta sui soldati e su Bushman in particolare.

-Fermi… o faccio saltare la testa al primo che si muove… cominciando da te, Bushman.-

            L’ex dittatore non si scompone:

-A quanto pare, la cara Miss Alraune mostra di essere sempre una donna di carattere, vero, Spector? Metti giù quell’arma, mia cara od ordinerò ai miei uomini di far saltare la testa del tuo amante e sai che non scherzo.-

-Non dargli retta, Marlene!- ribatte Moon Knight –Può provarci, magari, ma io so cavarmela.-

-Davvero?- replica Bushman –Da solo contro tutti i miei uomini? Io dico che saresti morto prima di abbatterne tre, Marc.-

-Magari hai ragione, Bushman…- dice, secca, Marlene -… ma a quel punto tu saresti sicuramente morto. Non sono una buona tiratrice, non quanto te, ma questo gingillo lo so maneggiare e non farò fatica a scaricarti in corpo tutto il caricatore prima che i tuoi uomini abbattano me od il mio uomo. Vuoi correre il rischio?-

            Bushman torce le labbra in un sogghigno crudele e risponde:

-A quanto sembra, miei cari amici, siamo in una situazione di stallo.-

 

            Bisento, l’artista delle lance, l’unico del gruppo a non essere stato ucciso da lei. A quanto le hanno raccontato, fu Stone, il braccio destro di Stick e nuovo capo dei Casti, a farlo.[4] Ora vedremo se il suo destino è morire di nuovo, oppure no.

            Ricomincia la danza di morte, Elektra è stanca ed il suo avversario è fresco, ma a muovere la bella greca ci sono la rabbia che prova ed il desiderio che nulla accada a Nina McCabe, la cui unica colpa è di essere entrata a far parte della sua vita.

            I due si studiano per lunghi attimi, poi è di nuovo la danza di affondi, parate, finte e nuove parate. Il silenzio è rotto solo da grida sporadiche lanciate ad ogni attacco. Una delle lance colpisce il polso sinistro di Elektra strappandole il sai. Ora le rimane in mano solo la oramai pesantissima katana di Budo.

            Elektra sembra muoversi al rallentatore: ogni movimento sembra costarle fatica e dolore, il sangue scorre dalle piccole ferite che le sono state inferte al volto, alla caviglia, al polso, al braccio, poi, con un inaspettato guizzo d’energia salta contro il suo avversario. Bisento ha appena il tempo di vedere la lama della katana calare sul suo volto, poi, come gli  altri prima di lui, muore.

            Elektra li ha sconfitti tutti… tutti tranne uno. Sei rimasto solo tu, Tekagi, pensa, non andartene: sto arrivando per te.

 

 

 

7.

 

 

           

.Era quello che lui voleva, pensa Elektra: sfiancarla moralmente e psicologicamente. Tekagi non si aspettava veramente che i suoi uomini vincessero, sperava… voleva che fosse lei a vincere tutti i duelli. Voleva che arrivasse sino a lui e lei sta arrivando, perché è certa di sapere dove sia, non potrebbe essere in nessun altro posto.

Entra nello studio che fu di suo padre e lui è lì, seduto alla sua scrivania, voltandole le spalle.

-Ben arrivata, Elektra.- dice –Sapevo che ce l’avresti fatta e non mi hai deluso.-

Elektra prova un’improvvisa sensazione di dejà vu, come se avesse già vissuto questa scena… e l’ha fatto, in un sogno che ora si confonde con la realtà.

-È così che volevi che finisse, non è vero, Tekagi?- replica Elektra e perfino la sua stessa voce le sembra, per un attimo, venire da lontano.

L’altro continua a parlare, sempre voltandole le spalle. La sua voce è ferma, priva di inflessioni:

-Sei stata molte cose nella tua vita, Elektra: la figlia adorata di tuo padre,  una timida studentessa ma anche la migliore allieva della mitica confraternita di assassini chiamata La Mano, un’allieva così eccellente, che loro stessi ti temono. Sei perfino morta e risorta grazie ad un antico incantesimo. Ho dimenticato qualcosa?-

-Molte cose, a dire il vero, ma sono senza importanza rispetto a quello che voglio sapere, ovvero: perché mi hai attirato fin qui? Qual’è il tuo vero scopo Tekagi? O vuoi che ti chiami, finalmente, col tuo vero nome… Orestez?-

Una risata proviene dalla gola dell’uomo vestito di verde, mentre fa ruotare la poltrona e si alza, fissando negli occhi Elektra, poi, con gesto teatrale, si sfila la maschera e dice:

Ero certo che l’avessi capito… sorella.-

            Orestez Niatchos sorride mentre le parla ed il suo non è un bello sguardo. Elektra si chiede se è questo che hanno visto nel suo volto le sue vittime un attimo prima che lei le uccidesse.

-Perché questa sciarada, fratello?- gli chiede –Cosa vuoi da me? Dopo tutti questi anni ti fai vivo solo per organizzare un complotto per uccidermi?

-Ucciderti? Temo che tu non abbia capito nulla, sorellina.- Mentre parla, Tekagi/Orestez si muove lungo la scrivania oltrepassandola -È cominciato molti anni fa, dopo… la morte di nostra madre. Abbandonai la nostra casa e girovagai per molti posti: Europa, Americhe, Asia. Fu mentre mi trovavo a Hong Kong, cosa ci facessi non ha molta importanza adesso, che fui avvicinato da un uomo: era un adepto della Mano.-

            Elektra spalanca la bocca stupita.

-Tu…?-

-Si. Non mostrarti così sorpresa sorella. Ricorderai che ero molto abile nelle arti marziali che nostro padre, come fece poi con te, mi fece praticare sin da bambino... che avevo da perdere? Accettai la proposta e lo seguii. Mi sottoposi ad un duro allenamento, finché, alla fine, divenni il migliore di tutti loro. Mi guadagnai una reputazione. Ho perso il conto di quante persone ho ucciso, ma, cadavere dopo cadavere, raggiunsi il premio più ambito: entrai nel cerchio più interno della Mano, non ero più un comune ninja, ero un sensei, un maestro.-

            Dalle labbra di Elektra sfuggono due parole quasi dimenticate:

-Dio Mio.-

-Ti vidi entrare nella Mano Elektra. Sapevo cosa provavi: era la stessa forza che motivava anche me, anche tu, come me, eri una figlia dell’oscurità e come, me, abbracciasti il buio all’interno della tua anima e ti lasciasti consumare da lui. Percorresti la mia stessa via, almeno fino ad un certo punto, perché, poi, facesti una cosa impensabile: lasciasti la Mano. Seguii attentamente le tue imprese: ti vidi morire e poi rinascere, ti vidi cadere dal paradiso e riprendere in te quell’oscurità che è il nostro retaggio di nascita. Quando sgominasti i Serpentieri,[5] decisi di riorganizzarli segretamente ed intanto preparavo i miei piani per questo momento.-

-Tu intendi uccidermi?-

-Questo è ciò che Matsuo Tsurabaya, con la sua limitata immaginazione, crede, ma i miei intenti sono ben altri. Io non voglio ucciderti: voglio che TU uccida ME.-

Ed Elektra rimane impietrita dallo stupore. È come se il suo sogno prendesse vita e diventasse reale.

-Ma… perché? Perché?- esclama.

-Perché? Non è facile da spiegare. Ti ho parlato dell’oscurità, Elektra, tu la conosci bene quanto me: ti divora dall’interno e pretende sempre di più, non è mai soddisfatta. E quando pasticci con la magia è anche peggio. Io sono andato più oltre di quanto tu abbia mai fatto: ho guardato negli occhi la Bestia e lei mi ha reso suo. Si, Elektra, sono dannato più di quanto tu possa mai sperare di essere. –

            Elektra non dubita della verità nelle parole del fratello: ricorda il candidato presidenziale Ken Wind ridotto a nulla più che l’involucro che conteneva l’essenza  della Bestia stessa.[6] Corruzione assoluta, non c’è altra definizione.

            Orestez continua:

-Da quando ho preso l’identità di Tekagi e mi sono impadronito della spada di Ogun, è come se non fossi più me stesso. Non sono mai stato un uomo buono, ho perfino ucciso nostra madre, lo sai, una colpa di cui non saprò mai perdonarmi, ma questo… questo orrore è molto peggio. È la definitiva corruzione del male.-

-Tu… puoi combatterla… la tua volontà…-

-Da molto tempo non è più veramente mia. Posso resisterle a tratti, ma la Bestia non mollerà facilmente la presa ed io non ce la farò ancora a lungo. Sarà come se fossi morto. Il mio corpo camminerà ancora su questa terra e parlerà e penserà, ma non ci sarà più Orestez Niatchos dentro di esso, non l’Orestez Niatchos che avrei voluto… che avrei sperato di essere. Ho un solo modo per sfuggire a questo destino. Tu devi uccidermi, Elektra  e devi farlo ora.-

-No, non puoi chiedermelo. Se quello che dici è vero, perché non hai cercato di ucciderti con le tue mani, prima?-

-Perché lei, la Bestia, non me lo permette, ma tu... tu sei l'unica che può farlo. La parte di me che è irrevocabilmente Tekagi vuole questa sfida ed ha fatto in modo che tu vi arrivassi stanca e ferita, ma tu devi riuscire. Quando rimetterò questa maschera Orestez Niatchos non esisterà più, ci sarà solo Tekagi e tu dovrai ucciderlo, Elektra, o lui ucciderà te!-

            Detto questo, Orestez Niatchos si reinfila la maschera di Tekagi e poi afferra una katana da una panoplia sulla parete e si mette in posizione di combattimento… attendendo.

 

            New York. Luke Cage entra in una casa all’apparenza molto vecchia nel Sud Bronx. I suoi informatori lo hanno condotto sin qui. Certo, ha dovuto sbatterli un pochino, ma non c’è da prendersela troppo, dopotutto, non è gente troppo per bene. Luke sogghigna  Forse avrebbe dovuto parlarne con la Polizia e con i Federali, ma non è così che lavora lui: i suoi affari preferisce risolverli a modo suo, proprio come adesso.  Eccomi, pensa, è meglio che tu sia pronto per me, brutto figlio di…

 

Elektra stringe i denti: quello che ha di fronte è suo fratello ed è un combattente esperto quanto lei, forse anche di più. Può vincere questo combattimento, può finire proprio come nel suo sogno.[7]

-Sai qual è la cosa buffa, Elektra?- le dice Orestez avanzando verso di lei  -Probabilmente Matsuo Tsurabaya sarebbe felice di vedermi morto per mano tua. A lui non interessano queste storie mistiche di Male Assoluto e di corruzione globale; è interessato solo al potere ed al profitto che gli dà l’essere uno dei leader della Mano.-

Elektra lo ascolta a malapena. Cerca di caricarsi pensando a quello che ha di fronte non come a suo fratello, ma come all’assassino di sua madre. Si: ha ucciso sua madre. La collera monta in lei selvaggia. No, si dice Elektra, domina la collera, non fartene dominare. Lui non è tuo fratello, lo ha detto lui stesso: è Tekagi e tu hai già ucciso Tekagi, puoi rifarlo.

Il primo colpo è di Tekagi, ma lei lo para facilmente, poi, lanciando un grido di battaglia, Elektra salta verso di lui, ma anche il suo avversario para il colpo con la sua katana. I due si fronteggiano silenziosi, non c’è spazio per le parole nel loro confronto, i soli suoni che escono dalle loro bocche ora sono solo le grida di battaglia. Si muovono secondo rituali studiati centinaia, forse migliaia di volte. Al colpo dell’una corrisponde la parata dell’altro e viceversa. Nessuno dei due riesce a mettere a segno un colpo decisivo, finché lui (non pensare a lui come Orestez, pensalo come Tekagi) non la colpisce alla mano destra, costringendola a lasciar cadere la katana strappata a Budo. Elektra guarda il sangue scorrere dal polso come affascinata ed incredula. A questo punto Tekagi depone la spada

-A mani nude sorella?- la sfida.

            Elektra sa di avere una sola speranza: ha già vissuto questa scena, sia pure in maniera diversa e non vuole che tutto finisca come nel suo sogno, eppure…Si lancia su di lui e gli sferra un calcio della tigre, ma va a vuoto. Al contrario, Tekagi (non Orestez) la colpisce al mento. Elektra sente il sapore del sangue sulle labbra, ma non ha tempo di pensarci, un colpo vibrato col taglio della mano la prende allo sterno togliendole il fiato. L’iniziativa ora appartiene ad Orestez (Tekagi, lui è Tekagi), che la martella colpo dopo colpo. Elektra riesce ogni tanto a mettere a segno un colpo, ma non serve a molto. Il suo avversario è implacabile e non le lascia tregua. Lei, al contrario,  è ferita, stanca, sfinita; non riesce più a stare in piedi, gli occhi sono coperti da un velo rosso, ad ogni inspirazione sputa sangue, riesce a malapena a restare appoggiata ad una parete. Tutto come nel sogno ed anche le sensazioni sono le stesse, Elektra non può negarlo: si sente come… come quella volta che affrontò Bullseye e lui la uccise.[8]  Morirà oggi per la seconda volta? Nessuno piangerà per lei, nessuno reciterà il rituale di resurrezione, giacerà dimenticata in una tomba … No! C‘è Nina... lei piangerebbe per lei, ne è certa.

            La voce di Tekagi le giunge ovattata

-Sei stata una delusione, sorella.- le dice afferra una katana appoggiata lì vicino con la destra, mentre con la sinistra la prende per i capelli, sollevandole la testa –Non sei degna di essere una Niatchos, e nemmeno una ninja, non lo sei mai stata! La katana del Maestro Ogun ti darà il colpo di grazia, liberandoti dal fardello che chiamano vita.-

            Ora con un colpo secco e deciso Orestez le infilerà la katana nella pancia e poi la tirerà su sino al collo con un unico, rapido, movimento, aprendola letteralmente in due. Elektra sentirà il sapore del suo stesso sangue, il suo odore, lo sentirà riempire i polmoni e poi scendere copioso dalla ferita, la stessa ferita da cui fuoriusciranno le sue viscere e mentre la spada verrà estratta dal suo corpo, lei si accorgerà di non provare più dolore e scivolerà nel freddo abbraccio della morte.

NO! È un urlo reale o esiste solo nella sua mente? Non è pronta morire ancora.

Sotto le sue dita sente qualcosa. Ma certo: è l'altra katana appesa alla panoplia, Tekagi l’ha sbattuta proprio lì. Caso o qualcosa di più? Elektra ha solo pochi secondi, prima che la katana di Tekagi la squarti e deve agire subito. Le sue dita si stringono all’elsa della katana, ha quasi l’impressione che siano le dita di qualcun altro a staccarla dalla parete e che l’intera stanza sia immersa in un’atmosfera irreale, che tutto si muova al rallentatore, poi vede Tekagi allontanarsi da lei, la spada immersa nel suo stomaco. La guarda stupito, ma c’è altro nel suo sguardo: sollievo, forse?

Tekagi cade in ginocchio, tenendo la katana nelle sue viscere per l’elsa, come se volesse strapparsela di dosso, una mossa, tra l’altro, che aggraverebbe soltanto la sua ferita. Elektra gli si avvicina. Rimane a fissarlo per un istante, poi gli strappa la maschera. Il volto di Orestez Niatchos sembra quasi rilassato mentre dice le sue ultime parole:

-Sei stata in gamba, sorella.-

            Poi Elektra afferra l’elsa della katana e la spinge più a fondo, fino a farla uscire dalla schiena di Orestez, quindi, con uno scatto deciso, spinge la lama in alto, sino al collo, fermandosi solo dopo aver reciso la carotide. Gli occhi di Orestez sono vuoti adesso. Elektra estrae la spada ed il corpo di suo fratello cade a faccia in avanti.

            Ogni muscolo le duole, ma rimane un’ultima cosa da fare. Con le sue ultime forze Elektra solleva la katana sopra la testa e quindi la fa ricadere con un colpo secco e deciso. Infine, le forze le mancano e lei dà il benvenuto al buio.

 

 

EPILOGO

 

 

            Nella sua suite in uno dei più lussuosi hotel di Atene, Matsuo Tsurabaya ha l’aria preoccupata. Ha sentito che la Tenuta Niatchos è bruciata in un misterioso incendio, ma non ha avuto notizie né di Tekagi, né di Elektra e non sa cosa pensare.

            Uno dei suoi uomini gli si rivolge:

-Perdoni il disturbo, Oyabun,[9] hanno portato questo pacco per lei.-

-Per me? E chi lo manda?-

-Non c’è indirizzo, dicono che è stato lasciato da una giovane donna.-

            Matsuo sente un cupo presentimento, mentre prende il pacco abbastanza pesante, lo poggia su un tavolo e lo apre: all’interno le sette maschere dei Serpentieri e qualcos’altro… la testa di Tekagi.

-Maledetta Elektra!- esclama l’Oyabun –Ma un giorno sarò io ad avere la tua testa, te lo prometto. Puoi contarci, cagna.-

 

            In un aereo privato diretto negli Stati Uniti Elektra Niatchos si permette, finalmente, di rilassarsi.  Uscire dal paese in maniera discreta  non è stato poi tanto difficile per una con le sue risorse e le sue ferite guariranno presto, anche se ora come ora non ha un aspetto molto piacevole a vedersi. Peccato che le ferite dell’anima non guariscano tanto facilmente. Ha dovuto uccidere suo fratello, non ha avuto altra scelta, lui aveva ragione al riguardo. Si chiede perché lui non abbai usato fin da subito la katana appartenuta ad Ogun nel duello, forse nel suo subconscio cercava di darle un vantaggio. Ora è finita, tranne per il fatto che certi fantasmi resteranno con lei per sempre.

Guarda Nina McCabe, addormentata sul sedile davanti a lei. Ha avuto solo un assaggio della violenza che costituisce il mondo di Elektra. Vorrà ancora far parte di quel mondo? Elektra non sa cosa augurarsi. Per ora si accontenta solo di riposare. Appoggia la testa sullo schienale e cerca di dormire.

 

 

FINE TERZA PARTE

 

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

            E così è finita anche quest’avventura a base di arti marziali e misticismo vario su cui ci sono solo poche cose da dire:

1)       la Bestia è il demone adorato ai seguaci della Mano il cui scopo è portare il Male nel nostro mondo e poi distruggerlo. Ci ha già provato tentando di scatenare un olocausto nucleare, ma è stata fermata proprio da Elektra nell’ormai leggendaria miniserie “Elektra Assassin” di Frank Miller & Bill Sienkiewicz.

2)       In quella stessa miniserie debuttava anche John Garrett agente dello S.H.I.E.L.D. ed oggi “agente privato” al soldo del misterioso multimiliardario Harold Howard.

3)       Quanto a Rick Mason, suo padre altri non è che il famosissimo Riparatore, fornitore “ufficiale” di armi e gadget vari ai supercriminali.

Nel prossimo episodio: abbiamo tre storie in sospeso e dovremo farle finire in qualche modo. -_^ Chi è il persecutore di Luke Cage? Che ne sarà di Moon Knight e dei suoi amici e cosa farà Ivan Petrovitch, costretto a giocare a fare il Bruce Willis della situazione all’aeroporto J.F.K. preso in ostaggio da misteriosi personaggi?  Scopritelo in una saga in due parti che riannoderà tutti i fili rimasti penzolanti, per dirla con il Tenente Colombo.  Oh, potrebbero anche esserci Shang Chi ed i suoi amici. Non mancate. -_^

 

 

Carlo



[1] Sigla del Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives, noto anche come B.A.T.F. o B.A.T.F.E.

[2] Circa 914 metri

[3] E non solo sua, come visto in Midnight Sons #10.

[4] In Daredevil Vol 1° #323 (Devil & Hulk #20)

[5] In Elektra: Root of Evil #4 (Wiz #7)

[6] Nell’ormai leggendaria miniserie Elektra Assassin #1/8 (Elektra Assassin, Marvel Italia).

[7] Visto nell’episodio #38

[8] Nel classico “L’ultima mano” in Daredevil Vol 1° #181 (Fantastici Quattro, Star, #15).

[9] Il titolo spettante ad un capo della Yakuza, l’equivalente (più o meno) giapponese della Mafia.